“Ho dovuto iscrivermi a Instagram fin dall'inizio. Non so dire esattamente quando, ma dal momento che lavoro nel digitale me ne sono interessata subito. Era inevitabile, non avrei potuto fare altrimenti", spiega Fany. Imprenditrice iperconnessa e madre di tre figli questa donna di 41 anni si rende conto che la dipendenza da Instagram ha finito per rubarle il sonno, divorando tutte le sue energie e portandola in una spirale di autosvalutazione come accade a tante altre persone che passano troppo tempo sui social. Un giorno decide quindi di riprendere il controllo della sua “vita reale” e di mettere a distanza l'app. "Ho sempre monitorato i social media, viaggio spesso negli Stati Uniti e soprattutto nella Silicon Valley, quindi quando è spuntato Instagram, mi sono iscritta immediatamente. Non c'era da fare una scelta, era da fare. Ho scoperto e imparato molte cose, lavorativamente parlando, è stato molto gratificante. Ma dopo un po', la mia frequentazione dell'applicazione ha preso sempre più spazio nella mia vita, come se ne avessi due in parallelo. La mia vita reale, fatta di persone, odori, suoni, musica e quella su Instagram. Certo, c'era il pretesto del lavoro, dovevo "esserci". In realtà è andata così: ho iniziato a seguire i profili che potevano interessarmi, poi ho cominciato a “scrollare” da un profilo all'altro, guardavo tutto e niente. Ho anche provato una sensazione malsana che mi ha infastidito molto, di voyeurismo, io che non ho mai letto riviste di gossip. Stavo lì a guardare la vita delle persone, o meglio la vita delle persone come volevano raccontarla e metterla in scena. Sono sempre stata una studentessa modello alla scuola primaria, a quella secondaria, al liceo e all'università. 14 anni fa ho creato la mia azienda, di cui oggi sono la co-fondatrice e l'amministratore delegato e ho tre figli. Nonostante tutto questo passavo il tempo a confrontarmi su Instagram. Ho sempre trovato una donna d'affari americana che era più giovane di me e sembrava avere fatto meglio. O un'altra che aveva avuto quattro figli ed era riuscita a organizzare la propria vita professionale, a gestire le vacanze e ad andare in posti da sogno. Sapevo che vedevo solo quello che le persone stavano mostrando, luoghi magnifici, feste grandiose, serate memorabili. Erano persone di cui conoscevo la vita reale e sapevo benissimo che non era così incredibile. Ma quello che pubblicavano su Instagram mi faceva sentire inutile, incapace di gestire la mia vita professionale e familiare. Intorno a me avevo conoscenti che prendevano una pausa da Instagram per due mesi, per esempio per scrivere, persone di cui ammiro molto il lavoro. Il mio livello di affaticamento aumentava di giorno in giorno. Mi sono resa conto, per esempio, che se andavo su IG prima di addormentarmi, la mattina dopo mi svegliavo molto più stanca. La scorsa primavera ero davvero esausta. Gestisco un team di 150 persone divise tra Parigi, Berlino e Tokyo. Ho anche dei figli che mi richiedono molte attenzioni. Ricordo che un giorno entrai nella mia libreria di fiducia e dissi al libraio: "Ho bisogno di un libro che mi prenda, l'ultimo non mi ha preso affatto". Era l'ennesimo. In effetti, non riuscivo a concentrarmi. È un po' un cliché, ma il clic è scattato durante una lezione di yoga, quando l'insegnante ha detto che la nostra capacità di attenzione, il nostro potere di concentrarci su qualcosa, potrebbe farci guadagnare energia. Avevo raggiunto un tale livello di esaurimento. Stavo su IG almeno due ore al giorno. Avevo già installato un'applicazione per il controllo del tempo, ma non era abbastanza. A volte mi sembrava di esserci rimasta dieci minuti quando in realtà era un'ora, a volte due. Più volte ho disinstallato l'app, ma ogni volta l'ho reinstallata, a volte la sera stessa. Poi è arrivata la volta giusta, poco più di due mesi fa. È successo di notte, come quando sono diventata vegetariana dieci anni fa, io che sono cresciuta in Bretagna e sono venuta su a carne e sanguinaccio. All'inizio ho provato paura, come un vuoto abissale. Poi non mi mancava per niente. Non è stato difficile. Mi ha persino permesso di prendere decisioni che non avrei mai preso prima. Ho la fortuna di potere trascorrere i miei fine settimana fuori Parigi, ma per l'Ascensione ho chiesto a mio marito di partire con i bambini e di lasciarmi restare sola qualche giorno. Sono riuscita a riconnettermi con i miei desideri. A cominciare dal bisogno di solitudine. Stare tre giorni a Parigi a leggere, camminare, io che non sono mai sola a casa. Ho pensato che se avessi tenuto l'app, ci avrei dedicato molto tempo, non mi sarei goduta affatto quei momenti. Avevo solo bisogno di sdraiarmi a fissare il soffitto, leggere quattro libri in quattro giorni, lasciare che i miei veri impulsi prendessero il sopravvento. Mentre fino ad allora per me stare a casa a non fare niente era un weekend perso. Oggi sono in grado di capire le mie priorità. Poi mi sono resa conto che tutta la mia vita sociale era dettata da Instagram, da quello che leggevo a quello che mangiavo. Era assurdo non pubblicare niente. All'inizio ho sentito il bisogno di mettere sei foto, poi niente. Perché sentivo che era pericoloso per me. Ci sono tornata poco tempo fa non dallo smartphone, non ho installato di nuovo l'app. Ci vado dal pc, due volte 30 minuti al giorno. Tengo questi due momenti nella mia agenda per non andare oltre. Ci vado perché ci trovo ancora tante idee, informazioni, ispirazioni e consigli, per esempio, per andare a vedere qualche mostra. Continuo a considerare il digitale una connessione, qualcosa che serve. Ma non è sicuramente la vita reale, quella delle emozioni e degli incontri con altri individui. So anche che ora sto molto di più con le persone. Sono davvero presente con la famiglia o al lavoro. E questo cambia tutto per me. Sto meglio con i miei figli, riesco a distinguere molto meglio le mie priorità. La mia primogenita ha sette anni, vedremo più avanti cosa faremo quando chiederà uno smartphone e scaricherà app. So che i leader della Silicon Valley non regalano iPhone ai loro figli e vietano loro di andare sui social perché sanno che ci disumanizzano. Mark Zuckerberg investe anche nelle scuole dove gli adolescenti fanno esperienza nei campi profughi e lavorano insieme ad altri esseri umani. In realtà non sono così preoccupata per i miei figli. Lo sono di più per la generazione degli anni Sessanta che ha scoperto di recente i social network. Mi preoccupo molto per loro. Quando andiamo dai miei genitori, è quasi impossibile cenare con loro. È pazzesco, sono sempre attaccati al cellulare, soprattutto mia madre. Sono peggio degli adolescenti!".
2024-12-23T13:14:42Z