Un nuovo test del sangue, il Galleri, in grado di rilevare oltre 50 tipi di cancro, anche in stadi precoci e senza programmi di screening, come quelli a fegato, ovaie e pancreas. I risultati preliminari di uno studio su 25.000 adulti in USA e Canada mostrano che il test ha identificato correttamente il cancro nel 62% dei casi positivi, escludendolo nel 99% dei negativi.
Di questo e molto altro si è parlato all'ultimo Congresso dell'Esmo, l'European Society for Medical Oncology, in cui sono sono emerse numerose novità significative, come ci ha raccontato il Professor Giampaolo Tortora, Direttore del Comprehensive Cancer Center e dell'Unità Operativa Complessa di Oncologia Medica del Policlinico Gemelli di Roma.
"Si è parlato moltissimo del tumore della mammella, con novità consistenti anche nel campo del tumore della vescica, con un numero crescente di pazienti che possono essere curati, e per i quali si stanno finalmente registrando successi importanti. C’è stato un consolidamento in questo ambito e, allo stesso tempo, si stanno aprendo nuove prospettive interessanti per lo sviluppo di nuovi farmaci, in particolare gli ADC (Antibody-Drug Conjugates), che quest’anno hanno mostrato promettenti sviluppi sia dal punto di vista tecnologico sia per il loro impiego clinico, con risultati presentati in congressi molto importanti. C’è la convinzione che nei prossimi anni l’uso di questi farmaci porterà benefici concreti in molte tipologie di patologie oncologiche".
Si è parlato anche del test del Dna in grado di scovare oltre 50 tipi di tumore. Di cosa si tratta?
Come sempre accade con le innovazioni, bisogna essere prudenti. Anzi, più una novità è promettente, più è importante validarla con studi solidi, concentrandosi su dati sicuri e rilevanti. Lo studio ha coinvolto pazienti over 50. Il campione iniziale era di 6.600 persone seguite nel tempo, attraverso gli studi Pathfinder e Pathfinder 2, che hanno dato il via a questa prima fase di screening. In una seconda fase, uno studio americano e canadese, ha esaminato fino a 25.000 individui di questi Paesi. Il test non è altro che un prelievo del sangue in cui si cerca il DNA frammentato che viene rilasciato nel sangue dal tumore (DNA circolante) e identificato con tecniche ormai consolidate. Questo DNA circolante viene poi amplificato e analizzato. La tecnologia nota come biopsia liquida è già in fase di applicazione su pazienti affetti da diversi tipi di tumori, come mammella, polmone, corpo dell’utero, e in fase avanzata di sviluppo sui tumori del colon e, più recentemente, sui tumori della vescica. Tuttavia, questa tecnologia si applica su pazienti che sono già malati, e non come screening su persone sane. La distinzione è fondamentale.
Ci spieghi meglio
Stiamo parlando di pazienti che hanno già ricevuto una diagnosi, sono stati operati o hanno fatto terapie. In questi casi, la biopsia liquida viene utilizzata per individuare precocemente un'eventuale recidiva. Questo perché la biopsia liquida è in grado di anticipare la comparsa della recidiva molto prima rispetto agli esami tradizionali come TAC o Risonanza magnetica. Per esempio, una persona affetta da tumore al polmone, già trattata con buoni risultati, può essere monitorata nel tempo con un semplice prelievo di sangue, quindi una procedura molto più semplice e meno invasiva rispetto alla biopsia tissutale. Se a un certo punto ricompaiono nel sangue frammenti di DNA tumorale, è un segnale che ci sono cellule tumorali che stanno proliferando e che il tumore si sta ripresentando. Questo consente di intervenire precocemente.
È dunque un sistema di monitoraggio della malattia residua o recidiva, utile nei pazienti già diagnosticati. Dal punto di vista prognostico?
E' altresì importante perché si è osservato che, quando i livelli di DNA circolante crollano dopo un trattamento, il paziente ha una prognosi più favorevole mentre la persistenza di livelli di DNA circolante spesso si associa a una risposta subottimale alla terapia eseguita. Ha anche valore quindi come indicatore dell’efficacia della terapia. Tuttavia, al momento non siamo ancora convinti che questo strumento possa essere utilizzato come screening sulla popolazione sana.
Che è l'ambizione di questo nuovo test
Esattamente. Lo scopo dello screening per la diagnosi precoce dei 50 tumori è molto ambizioso: diagnosticare precocemente la presenza del tumore in individui apparentemente sani, in maniera semplice e sicura. Un test di screening deve rispondere a due criteri fondamentali: la sensibilità, cioè la capacità di rilevare la presenza di tumore quando c’è, e la specificità, ovvero evitare i falsi positivi o negativi. Un test che dà un falso negativo – cioè non rileva un tumore presente – è molto pericoloso. Così come un test che indica erroneamente un tumore può causare ansia, esami inutili e trattamenti inappropriati. Questo studio nasce in America con un progetto estremamente ambizioso che ha coinvolto più tipi di tumori, mostrando una elevata sensibilità e specificità: ottima notizia.
Cosa si propone di fare questo test?
Il test GRAIL, nello specifico, cerca DNA tumorale circolante per 50 diversi tipi di tumore, inclusi alcuni molto subdoli per i quali non abbiamo a disposizione altri esami di screening, come per esempio quelli di vescica, pancreas, ovaio. Quindi tumori anche con alta mortalità. Il fine ultimo degli esami di screening in generale è abbattere la mortalità, attraverso diagnosi precoci. Tuttavia, c’è un rischio: anche se il test trova un tumore, non è detto che quel tumore sia destinato a progredire o causare morte. Ad esempio, un tumore della prostata potrebbe non dare mai problemi nella vita del paziente, ma un test positivo potrebbe portare comunque a trattamenti invasivi non necessari.
Se il test individua DNA tumorale, si potrebbe pensare che sia una cosa positiva perché permette di intervenire prima.
Sì, ma bisogna fare attenzione: uno screening efficace deve dimostrare di ridurre la mortalità nella popolazione, non solo di trovare tumori. Se si scopre un tumore in fase iniziale, ma poi non si riesce a curarlo, non si ottiene il beneficio sperato. Quando la terapia riduce la dimensione del tumore, è sicuramente un ottimo segnale ma non basta se non è accompagnato da un effetto concreto sulla sopravvivenza. Per validare in modo più ampio i risultati ottenuti con il Grail , partirà una valutazione del test su una popolazione di oltre 150.000 individui nel Regno Unito, con un periodo di osservazione di 3 anni.
Naturalmente, alla individuazione di un rischio o a diagnosi precoce deve seguire un'azione efficace, altrimenti si rischia di identificare i problemi senza risolverli.
Proprio così. Un esempio è quello dei test genetici di massa, offerti da alcune aziende di diagnostica negli Stati Uniti, per identificare alterazioni genetiche di predisposizione a diversi tipi di malattie. Se un’azienda mi comunica che ho un’alterazione genetica associata a una malattia potenziale, si apre un tema delicato. Potrei non avere mail la malattia e vivere nella preoccupazione per tutta la vita. La prevenzione genetica può aiutare, ma solo se seguita da interventi efficaci che abbiano davvero un impatto sulla vita delle persone. Come già accennato, lo scopo finale di ogni screening è salvare vite, non solo diagnosticare prima. Si stanno cominciando a raccogliere dati importanti e significativi, ma bisognerà arrivare a milioni di persone analizzate per periodi sufficientemente lunghi per avere certezze. Sono comunque ottimista perché la tecnologia procede a livelli straordinari e ci consentirà progressi finora non possibili.
Durante una recente conferenza alla facoltà di medicina dell’università locale, il professor Luigi Ferrucci, uno dei massimi esperti mondiali sull’invecchiamento, ha lanciato una riflessione potente:
“Il prossimo grande passo nella scienza dell’invecchiamento sarà capire come i fattori legati allo stile di vita possano rallentarlo”.
Un obiettivo ambizioso, ma estremamente concreto: non si tratta di vivere per sempre, ma di vivere bene più a lungo, riducendo il periodo della vita in cui conviviamo con malattie legate all’età. Proprio mentre Ferrucci parlava, negli Stati Uniti veniva pubblicato uno studio innovativo che mette in luce un fattore sorprendente ma cruciale: la vita sociale.
Non è una novità che le persone con legami sociali forti tendano a vivere più a lungo e in salute. Ma cosa succede realmente nel corpo umano quando siamo socialmente connessi?
I ricercatori hanno studiato più di 2.000 adulti, valutando quanto fossero connessi socialmente: relazioni familiari, attività nella comunità, supporto emotivo, appartenenza a gruppi religiosi o civici. Hanno creato un indice chiamato "cumulative social advantage" (CSA), ovvero un punteggio che misura il livello di supporto e connessione sociale di una persona. Hanno poi confrontato il CSA con vari indicatori di invecchiamento biologico: Età biologica misurata tramite i cambiamenti nel DNA (i cosiddetti “orologi epigenetici”), Infiammazione nel corpo, Ormoni dello stress come cortisolo e adrenalina.
I risultati sono chiari: le persone con una vita sociale più attiva e solida invecchiano più lentamente, almeno a livello biologico, e mostrano livelli di infiammazione più bassi. Non è stata trovata una forte connessione con gli ormoni dello stress, ma i ricercatori ipotizzano che questi siano più difficili da misurare con precisione. In sostanza, lo studio conferma che i legami sociali non sono solo benefici per la mente, ma anche per il corpo. Non dovrebbe stupirci troppo: l’essere umano si è evoluto come specie profondamente sociale. Per i nostri antenati, far parte di un gruppo era una questione di sopravvivenza: protezione, sostegno, accesso alle risorse.
Il CSA è risultato più alto tra le persone con più istruzione, migliori redditi o appartenenti a gruppi etnici privilegiati. Quindi, oltre alla rete sociale, anche le condizioni economiche influenzano il modo in cui invecchiamo. Questo ci porta a due importanti riflessioni:
1. Serve una politica sociale più equa, che migliori istruzione, opportunità e condizioni economiche: elementi che influiscono direttamente sulla salute.
2. Ma anche le scelte individuali contano: rafforzare i nostri legami, partecipare alla vita della comunità, essere di supporto agli altri può realmente fare la differenza.
Nel 2014, durante il 40° anniversario del National Institute on Aging a Washington DC, qualcuno chiese al responsabile delle scienze sociali quale sarebbe stata la disciplina più importante per il secolo successivo.
La risposta fu netta:“Le scienze sociali e la genetica”. All’epoca non esistevano programmi congiunti tra queste due aree. Ma oggi, grazie a studi come questo, la fusione tra biologia e relazioni umane si sta rivelando decisiva per comprendere non solo come invecchiamo, ma come possiamo invecchiare meglio.
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2025-10-26T08:45:33Z