MANGIARE COME GLI ASTRONAUTI CI SALVERà?

Se tra i buoni propositi di metà primavera abbiamo quello di ritrovare la forma fisica e il benessere mentale, senza mettere a rischio il nostro pianeta, c'è un'idea molto originale. Si tratta di capire come mangiano gli astronauti per scoprire che magari proprio lì, nello spazio, si nasconde la ricetta magica che mescola tecnologia, salute e piacere.

Come insegna il metodo empirico si parte dall'assaggio, nello specifico di quelle pietanze in confezione di alluminio con valvola di sicurezza della Nasa, che Samantha Cristoforetti ha consumato sulla Iss (la Stazione spaziale internazionale). Ebbene, il risotto con gamberetti e asparagi liofilizzati, guarnito per noi con pomodorini solidi e croccanti come noci era credibile, se non addirittura gustoso; anche il pudding di yogurt e cereali con fiocchi di legumi era morbido e confortevole al palato. L'intero menù era firmato dalla startup EAT Freedom che ha rifornito la missione Minerva dell’Esa, a cui ha partecipato la nostra astronauta, e prepara confezioni di cibo gourmet anche per gli scalatori su picchi montuosi, in esplorazioni estreme ad alta quota.

Sara Rocci Denis, laurea in Ingegneria aerospaziale al Politecnico di Torino e una passione per la montagna, ha cominciato proprio da lì. Aver scalato una vetta di 4.000 metri all’età di 11 anni è stata solo la prima tappa di un trekking professionale che l’ha portata in Germania dove, dopo aver lavorato nel team di GE Global Research su tecnologie per l’innovazione di prodotto, nel 2016 ha pensato di riunire tutte le competenze tecnologiche sviluppate in aviazione e riversarle nel campo dell’alimentazione. Con coraggio ha fondato la startup EAT Freedom, che con il mantra 'servire pasti al servizio del nostro pianeta', segue scelte alimentari per un futuro circolare.

La sfida è sostenere la forma fisica e mentale degli astronauti impegnati in missioni estremamente complesse, ma anche fornire loro il comfort psicologico necessario per affrontare lunghi periodi in ambienti ristretti, deprivati di ossigeno, affetti e libertà di movimento. In altre parole, si tratta di concentrare energia, salute e gioia in un pacchetto di cibo liofilizzato. Così, mentre gli esperti di nutrigenomica studiano le prestazioni fisiche e cognitive degli astronauti che gustano pizza, gelati e barrette di grilli a gravità zero, le innovazioni tecnologiche della gastronomia spaziale possono avere ricadute anche sulla Terra per migliorare il modo in cui produciamo, conserviamo e consumiamo i cibi sulle nostre tavole.

Cosa possiamo quindi copiare dagli astronauti? "L’astronauta ha una vita molto regolata a bordo, con un piano della giornata preciso, scandito da esperimenti, attività di gestione della stazione ma anche della propria salute − spiega Sara Rocci Denis − quindi quello che possiamo imparare da loro è lavorare a blocchi, cercare di rendere la nostra giornata metodica e ripetitiva, programmando per esempio la ginnastica al mattino o in un giorno particolare della settimana. Questo rende più facile associare alla dieta l’attività fisica che ci permette di tenere in forma i nostri muscoli. Lo spazio è un laboratorio orbitante dove gli astronauti sono sottoposti a condizioni che accelerano l’invecchiamento − un anno in orbita equivale a circa 10 anni sulla Terra − possiamo osservarlo come una lente di ingrandimento per poi imparare a contrastarlo, anche con il cibo".

Non c’è (almeno per ora) una tecnologia che blocchi l’invecchiamento, ma secondo Roberta Re, direttrice del Cambridge Food Science, un’alimentazione bilanciata può aiutare a rallentare il processo degenerativo naturale: "Il nostro organismo si difende naturalmente dal processo di ossidazione e dagli stimoli esterni che causano il processo di invecchiamento. Solo la dieta può rigenerare le risorse naturali che vengono distrutte dallo stress, quindi dal punto di vista sperimentale è interessante osservare come l’organismo risponde a una dieta bilanciata in un ambiente controllato come lo spazio. Gli alimenti possono avere tante vitamine e nutrienti, ma è il modo in cui il cibo viene preparato e conservato che ce li farà assorbire".

Sara Rocci Denis spiega come la sua azienda ha preparato i cibi di Samantha Cristoforetti: "Abbiamo usato liofilizzazione e termostabilizzazione che parte da ingredienti freschi e cuoce le ricette in autoclave ad alte pressioni ed alte temperature, per abbattere la carica batterica. I pasti liofilizzati, se ben bilanciati, possono essere delle valide alternative, non solo nello spazio o in montagna".

Una dieta bilanciata che non ha bisogno di refrigerazione

Nello spazio, come sulla Terra, è tutta una questione di trovare un equilibrio tra gusto, nutrizione e sicurezza alimentare, implementando tecnologie che distruggono i batteri ma non i nutrienti. Per astronauti e scalatori EAT Freedom combina minerali e vitamine che possono sopperire per esempio alla carenza di ferro e calcio (importante anche all’universo femminile) ad altri ingredienti che li rendono assorbibili. "Un esempio banale: nel mese della dieta tutti vogliono togliere i grassi, che invece sono importanti, perché gli enzimi che vi sono contenuti attivano la digestione e quindi l’assorbimento dei nutrienti all’interno dell’intestino. La liofilizzazione è un processo che energeticamente a terra è costoso e impattante, però di fatto conserva il 95 per cento dei nutrienti. Il fresco, se trattato con gentilezza (non stracotto, per intenderci) non verrà mai superato da nessun alimento conservato, ma nella vita quotidiana, quando dobbiamo essere performanti e abbiamo poco tempo per cucinare, si possono usare anche i liofilizzati".

"E comunque", aggiunge Roberta Re, "i cibi freschi e non processati non sono sempre ottimali per la nostra nutrizione, pensiamo ai broccoli legnosi che il nostro organismo da crudi non digerisce. Determinati processi, come ad esempio la liofilizzazione, rendono la struttura delle verdure più facile da assimilare. È un tema molto importante, parliamo di ciò che dobbiamo evitare come grassi, zuccheri o cibi ultra processati, ma è anche una questione di capire le necessità del nostro stile di vita, il che significa che certe scorciatoie, come verdure congelate o frutta liofilizzata, sono un vantaggio. Si tratta di cominciare ad essere più aperti alla tecnologia del cibo, surgelato e liofilizzato va bene, soprattutto se ci aiuta a condurre una vita meno stressante". Parola di esperta. Grazie alle tecnologie alimentari la nostra salute e quella del pianeta potrebbero avere un incontro ravvicinato.

Secondo Sara Rocci Denis, le tecniche usate nello spazio, come la liofilizzazione, potrebbero rivelarsi più efficienti su larga scala per esempio nelle cucine degli ospedali e nelle mense scolastiche, dove si verificano dispendi energetici per la refrigerazione dei pasti durante il trasporto e il successivo riscaldamento prima del servizio. "A livello tecnologico è vero che vogliamo cercare di ridurre il più possibile il consumo energetico, ma dobbiamo anche far fronte alle esigenze di sicurezza alimentare e purtroppo al giorno d’oggi le emergenze sono anche quelle collegate alle interruzioni della fornitura energetica. Se viene meno la possibilità di refrigerare dobbiamo buttare via tutto, mentre un alimento liofilizzato no".

Gli alimenti stampati in 3D che simulano i piatti di casa

Dare agli astronauti cibi come il risotto agli asparagi che ricreano le atmosfere, la familiarità ed i gusti di casa, è importante da un punto di vista psicologico, e tutti sappiamo quanto l’elemento soddisfazione sia importante anche nelle nostre diete 'terrene'. Facciamo questo passaggio: per raggiungere la Stazione spaziale internazionale ci vogliono alcune ore; Apollo arrivò sulla Luna in 4 giorni, sei ore e 45 minuti, ma per andare su Marte potrebbero volerci anche nove mesi. Un tempo sicuramente incompatibile con pizze e gelati, che complica anche lo stoccaggio e l’assunzione di cibo impacchettato. E se gli alimenti venissero stampati? La Nasa da tempo sta finanziando la tecnologia dei pasti in 3D con il programma Deep Space. "La stampa di cibo in 3D può essere utilizzata per dare al cibo l'aspetto che conosciamo, quindi per soddisfare il lato edonistico del mangiare un biscottino, un croccantino o una foglia piuttosto che polverine o pillole, soprattutto nelle missioni lunghe", spiega Sara Rocci Denis.

Che dire allora di spingerci a utilizzare gli insetti, che proprio Samantha Cristoforetti aveva voluto testare sulla Iss? "Si possono consumare in polvere o in cubetti o altre forme programmabili da una stampante e sono una fonte di proteine paragonabili a quelle animali. Si sono dimostrati anche resistenti alle radiazioni e si potrebbero allevare anche nello spazio, con l'avvertenza però di rinchiuderli bene", conclude l'ingegnere aerospaziale.

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