BOMBI A RISCHO ESTINZIONE, I NIDI SI SURRISCALDANO

L’aumento delle temperature globali sta mettendo a dura prova i bombi. Questi straordinari impollinatori, la cui fama viene troppo spesso oscurata da quella delle api, stanno lottando per la sopravvivenza. Il troppo caldo infatti potrebbe distruggere i loro nidi, compromettere la loro proliferazione e, quindi, il futuro della specie. A lanciare l’allarme è un nuovo studio internazionale, pubblicato su Frontiers in Bee Science. 

I bombi sono imenotteri pelosi che appartengono alla stessa famiglia delle api. Diversamente dalle “cugine”, però, questi insetti usano l’apparato boccale per scrollare i fiori e permettere il rilascio di grandi quantità di polline: un trattamento d’urto essenziale per l’impollinazione di molti raccolti, come quelli di pomodori, fragole, mirtilli, lamponi, peperoni, melanzane, patate e zucche: tutte piante alla base delle abitudini alimentari degli esseri umani. 

I bombi sono, dunque, impollinatori fondamentali per la sicurezza alimentare umana. Questi eccellenti impollinatori, oltre a diffondere il polline, hanno un ruolo importante nel fertilizzare molti tipi di flora selvatica, così come cruciali colture agricole alla base della dieta degli esseri umani. Sono più adatti al freddo, con il loro corpo peloso e la capacità di generare calore mentre volano, il che spesso permette loro di essere i primi impollinatori a uscire in primavera. Proprio per queste peculiarità, però, ora sono nei guai. E, in pericolo potrebbero essere anche gli esseri umani: se l’attuale tendenza, che vede un progressivo innalzamento delle temperature, non subirà una battuta d’arresto, interi ecosistemi, in primis quello umano, crolleranno a causa della scarsità di cibo.

Secondo gli scienziati, l’aumento del calore è un potenziale responsabile del declino delle popolazioni di bombi in tutto il mondo, compromettendo la capacità dei bombi di costruire nidi vivibili in cui possano svilupparsi larve sane. “Il declino delle popolazioni e degli areali di diverse specie di bombi può essere spiegato da problemi di surriscaldamento dei nidi e della covata”, ha dichiarato Peter Kevan, dell’Università di Guelph, in Canada, autore principale dell’articolo. 

“Le limitazioni alla sopravvivenza della nidiata di bombi indicano che il calore è probabilmente un fattore di rischio importante: il riscaldamento del nido al di sopra di circa 35 gradi Celsius per i bombi è letale, nonostante la loro notevole capacità di termoregolarsi”, ha continuato Kevan. Nel mondo esistono molte specie di bombi, distribuite in ambienti diversi. Tante di queste specie sono in declino a causa dei cambiamenti climatici, ma l’identificazione di un fattore causale si è rivelata difficile. Tuttavia, attraverso un’approfondita analisi della letteratura, Kevan e colleghi hanno identificato un elemento, decisivo per la loro sopravvivenza, che accomuna queste specie, indipendentemente dall’areale geografico: la temperatura ottimale del nido deve essere compresa fra i 28 e i 32 gradi Celsius.

“Possiamo supporre che la somiglianza rifletta la parentela evolutiva delle varie specie”, ha detto Kevan. Poiché questa caratteristica sembra essere comune a così tante specie, potrebbe avere una plasticità evolutiva limitata, il che significa che i bombi troverebbero difficile adattarsi all’aumento delle temperature e lotterebbero per rimanere all’interno della loro zona di neutralità termica, un punto in cui mantenere la giusta temperatura richiede un dispendio metabolico minimo. Lo stress termico, che porta una specie al di fuori da questa zona, è notevolmente pericoloso. “Temperature troppo elevate sono più dannose, per la maggior parte degli animali e delle piante, rispetto alle temperature più fresche”, ha notato Kevan. “Quando le condizioni atmosferiche sono fresche, gli organismi che non regolano metabolicamente la loro temperatura corporea semplicemente rallentano, ma quando le temperature diventano troppo alte i processi metabolici iniziano a rompersi e cessano”, ha spiegato Kevan. “La morte sopraggiunge rapidamente”.

Esaminando centottanta anni di letteratura, Kevan e colleghi hanno scoperto che i bombi sembrano essere in grado di sopravvivere fino a 36 gradi Celsius e di svilupparsi in modo ottimale a circa 30 e 32 gradi Celsius, anche se questo potrebbe variare a seconda delle specie e delle condizioni biogeografiche. Sebbene i bombi abbiano alcuni adattamenti comportamentali che consentono loro di termoregolarsi, ciò potrebbe non essere sufficiente per affrontare i cambiamenti climatici.

Inoltre, la colonia di bombi agisce come un “superorganismo” in cui l’idoneità riproduttiva dipende dalla sopravvivenza e dalla riproduzione collettiva della colonia, piuttosto che dai singoli individui. Un bombo può affrontare il caldo meglio di un altro, ma se il nido è troppo caldo per far crescere larve sane, l’intera colonia ne risente, indipendentemente dalle abilità di adattamento dei singoli bombi. “L’effetto delle alte temperature dei nidi non è stato studiato molto, il che è sorprendente”, ha sottolineato Kevan. “Possiamo ipotizzare che temperature del nido superiori ai 30 gradi centigradi siano molto dannose e che, al di sopra dei 35 gradi centigradi si verifichi la morte, probabilmente molto rapidamente”.

Gli studi sulle api mellifere dimostrano che temperature più elevate nei nidi compromettono la forza e la capacità riproduttiva delle regine e portano ad api operaie più piccole e in cattive condizioni. Se il calore ha un effetto simile sui bombi, allora il riscaldamento globale potrebbe essere la causa diretta del loro declino, con conseguenti implicazioni sulla sicurezza alimentare degli esseri umani. Per garantire che i bombi continuino a prosperare, gli scienziati invitano ad approfondire la ricerca su quello che, ricordano, è un aspetto poco studiato dell’ecologia dei bombi: la morfologia del nido, le proprietà dei materiali, la temperatura e la termoregolazione. 

È possibile che alcune colonie di bombi adattino la scelta del sito del nido e la forma o il comportamento per raffreddare i nidi. Il radar per la penetrazione del terreno potrebbe aiutare a studiare le specie che nidificano al suolo, mentre l’analisi della respirometria a flusso continuo dei nidi a diverse temperature potrebbe aiutare gli scienziati a valutare lo stress a cui sono sottoposte le colonie di api al loro interno. “Abbiamo bisogno di entrambi per capire come le diverse colonie affrontano le stesse condizioni e come le diverse specie si comportano in condizioni differenti, compreso se alcune specie di bombi hanno zone termicamente neutre più ampie, che consentono loro una maggiore resilienza”, ha aggiunto Kevan

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